Se c’è un panino che racconta New York più di ogni altro, è senza dubbio il sandwich al pastrami. Stratificato come la città che lo ha reso celebre, affumicato e speziato come le sue storie, il pastrami sandwich è molto più di una semplice pausa pranzo: è un’icona gastronomica che ha attraversato secoli, continenti e pellicole cinematografiche. Sì, proprio lui: il panino di “Harry ti presento Sally”, quello della scena del celebre finto orgasmo, consumato dentro le mura sacre di Katz’s Delicatessen, tempio laico del pastrami newyorkese.
LE ORIGINI: DA BACAU A BROOKLYN
Il pastrami nasce ben lontano da Manhattan. Ha radici nella Romania ebraica, dove la carne veniva salata, speziata e affumicata per conservarla più a lungo. Lì si usava solitamente l’oca o l’anatra, che con la migrazione negli Stati Uniti furono sostituite dal manzo, più accessibile e abbondante. Il termine “pastrami” deriva dalla parola rumena “pastrama”, collegata al verbo “a conservare”.
Furono gli ebrei ashkenaziti, emigrati in massa tra fine ‘800 e inizio ‘900, a portare questa tradizione nel Lower East Side di New York. Qui nacquero le Jewish delicatessen, piccoli ristoranti e botteghe gastronomiche che offrivano piatti kosher. È proprio in queste cucine che il pastrami prese la sua forma attuale: punta di petto di manzo (brisket), marinata in una salamoia speziata, affumicata lentamente e poi cotta a vapore fino a diventare tenerissima.
Tra tutti i deli storici di New York, uno è riuscito a imprimersi nell’immaginario collettivo mondiale: Katz’s Delicatessen, aperto nel 1888 all’angolo tra East Houston Street e Ludlow Street.
Katz’s è famoso per due cose: il suo sandwich al pastrami e la scena madre di When Harry Met Sally (1989), dove Meg Ryan finge un orgasmo davanti a un sandwich e un imbarazzato Billy Crystal. L’esilarante battuta che chiude la scena, pronunciata da una signora al tavolo accanto (“I’ll have what she’s having“), è diventata una delle più celebri della storia del cinema.
Ma dietro la fama hollywoodiana c’è una tradizione che si rispetta da oltre un secolo. Katz’s serve un pastrami sandwich da oltre 300 grammi di carne, affettata rigorosamente a mano per non “stressare” le fibre e far fuoriuscire i succhi. Due fette di pane di segale, un velo di senape gialla, qualche cetriolino kosher a lato, e il gioco è fatto.
Ogni ordine viene accompagnato da un bigliettino numerato: perderlo significa pagare la multa (o almeno così dicono i cartelli ironici appesi ai muri). Il locale è rimasto fermo nel tempo, con le sue insegne vintage, le fotografie ingiallite dei vip alle pareti e la fila che inizia spesso fuori dalla porta.
1. IL MANZO – Il taglio umile che diventa leggenda
Come spesso accade nei piatti simbolo della tradizione popolare, tutto comincia con un’esigenza concreta: nutrire a lungo, spendendo poco. Il pastrami è figlio di questa necessità. Gli immigrati ebrei dell’Europa dell’Est, sbarcati nel Nuovo Mondo tra fine ’800 e inizio ’900, portarono con sé l’arte della carne conservata. In Romania usavano l’oca o l’anatra, ma in America si adattarono al taglio più disponibile: la punta di petto di manzo, il cosiddetto brisket. Un taglio povero, tenace, con nervature di grasso e tessuti connettivi che richiedono tempi lunghi e pazienza, ma che, se trattato nel modo giusto, regala una morbidezza commovente. I puristi storcono il naso davanti alle versioni moderne che osano usare altri tagli: per loro, il pastrami vero si fa solo con il “navel cut” del brisket, accuratamente separato dal biancostato.
2. LA MARINATURA – Il tempo come ingrediente segreto
Il viaggio verso la perfezione inizia con un bagno. Non un bagno qualsiasi: una lunga salamoia speziata, che penetra nelle fibre della carne trasformandole. In origine si faceva per prolungare la conservazione, oggi si fa per struttura e colore: il manzo si compatta, diventa più facile da affettare e assume quella sfumatura rosa brillante che rende inconfondibili le fette servite da Katz’s. Il tempo di marinatura può variare da due a quattro settimane, a seconda del clima, del taglio e della pazienza del mastro pastramiere. Ed è solo l’inizio.
3. LA FRIZIONATURA – Lo scrub aromatico
Pensate a un hammam… ma per la carne. Una vigorosa frizione con una miscela segreta di spezie che va massaggiata sulla superficie fino a creare una crosta profumata e appiccicosa. È qui che il pastrami comincia a indossare la sua armatura aromatica. La ricetta di Katz’s è top secret, ma si percepiscono chiaramente aglio, cipolla, pepe nero e coriandolo. Ogni spezia ha un ruolo: alcune penetrano, altre restano in superficie per formare quella crosticina nerastra che scrocchia sotto i denti e amplifica il sapore con ogni morso.
4. L’AFFUMICATURA – La stanza segreta di New York
Ecco il passaggio che distingue il pastrami da tutte le altre carni bollite: l’affumicatura lenta, quasi mistica, in un ambiente che sembra uscito da un romanzo noir. Pochi deli ancora oggi affumicano il pastrami in casa, per via della complessità e dello spazio richiesto. Katz’s, invece, ha una stanza intera dedicata all’affumicatura, grande quanto un appartamento, dove decine e decine di chili di manzo vengono sospesi nel buio, lasciati a impregnarsi di fumo per oltre 36 ore. Il legno usato? Nessuno lo sa. Segreto aziendale. Ma il risultato è inconfondibile: profumo pieno, profondo, quasi balsamico, con una nota che ricorda l’inverno e il camino acceso.
5. LA BOLLITURA – Il brodo che fa da carrozza
Inizia qui il rituale che trasforma il pezzo affumicato in una creatura sacra. All’interno del locale, un cameriere gira con un vecchio carrello della spesa trasformato in santuario ambulante. Dentro, un pentolone di metallo, colmo di acqua fumante, da cui affiorano blocchi di pastrami che sembrano appena riemersi da un sogno caldo. Non è una vera bollitura, quanto una rinascita nel brodo, che mantiene la carne calda e morbida, pronta per l’ultimo atto della vestizione.
6. IL VAPORE – Soffio finale di tenerezza
Dal brodo, il pastrami passa alle pentole a vapore nel retrobottega, dove la magia viene ultimata. È un passaggio breve – 15 o 30 minuti al massimo – ma decisivo: il vapore ammorbidisce ulteriormente le fibre, allenta ogni resistenza, prepara la carne al momento più atteso. Qui il pastrami smette di essere solo “cotto”: diventa affettabile, pronto a sciogliersi in bocca come un pastrami deve saper fare.
7. IL TAGLIO – Il mestiere più ambito del Deli
Potrebbe sembrare una formalità, ma tagliare il pastrami è un’arte. E solo i migliori ci riescono davvero bene. Jake Dell, attuale proprietario di Katz’s, racconta che ogni ragazzo che inizia a lavorare nel locale sogna un giorno di diventare “cutter”. Tagliare significa conoscere il pezzo, rispettarlo, valorizzare la crosta bruciacchiata senza esagerare, calibrare ogni fetta in modo che ci sia l’equilibrio perfetto tra grasso, carne e spezie. È il taglio che trasforma un panino in un’esperienza. È la firma dell’artigiano.
8. L’ASSEMBLAGGIO – La montagna perfetta
Siamo al gran finale. La carne è pronta, il cutter è in posizione. Ora bisogna costruire. Il sandwich perfetto è un trionfo stratificato: tre strati di carne, né troppi né pochi, serviti tra due fette di pane di segale leggermente tostato (on the rye), un velo di senape gialla e qualche cetriolino kosher a lato. Attenzione, però: deve essere alto, generoso, ma mai sbilanciato. Non deve crollare, deve reggersi con fierezza, come la città che l’ha visto nascere.
Mangiare un pastrami sandwich da Katz’s non è come ordinare un pranzo veloce: è entrare in un rito collettivo, respirare la storia degli immigrati, assaggiare New York in forma di carne. È uno di quei pochi casi in cui il panino supera se stesso e diventa cultura, racconto, mito urbano.
E quando ti trovi davanti quel mostro affumicato, col vapore che sale e la senape che cola, capisci tutto. Capisci perché, dopo quel famoso finto orgasmo al tavolo, la signora abbia detto: “Prendo quello che ha preso lei.”